MILANO _ GALLERIA OBRAZ "CHINA.TXT"

INTERVISTA DI EMMA GRAVAGNUOLO

Cina.txt è un progetto molto specifico. La selezione dei dipinti, in mostra allo spazio Obraz, crea un corpo coerente di lavori e un’atmosfera particolare. Puoi dirmi qualcosa del processo che c’è dietro questa scelta?
Tutto è nato dalla decisione di andare in Cina e fin dall’inizio il viaggio è stato pensato come un approfondimento non solo di questo vasto e ancora in parte misterioso Paese, ma come una ricerca sull’architettura in velocissima evoluzione in Oriente. Ho voluto mettere a confronto alcune delle architetture più antiche e meglio conservate presenti sulla terra con quelle più avveniristiche.

Hai selezionato molti paesaggi - architetture, spazi vuoti, luoghi quasi astratti di esterni - e solo due tele dove è presente l’uomo. Ma in entrambi i casi questi lavori chiamano in causa il sentimento dell’assenza e l’idea della pittura come una pratica specifica…
Come ti dicevo, per questo progetto l’architettura era al centro della mia ricerca, mentre la figura umana era in secondo piano. Anche se in qualche tela, come quella che rappresenta la Città Proibita o il “Bird’s nest” (il nuovo, gigantesco stadio olimpico di Biejing) la presenza dell’uomo nell’immagine era necessaria proprio per dare un riferimento di paragone, per rendere la maestosità di tali edifici.

Le prospettive di alcuni edifici sono estreme, le facciate vengono ripresi da scorci obliqui, altri dettagli dal basso…
Cerco sempre di cogliere dei dettagli e delle inquadrature non “semplici”... In genere mi baso proprio sull’istinto, sul momento in cui mi rapporto alla specifica architettura, mi lascio guidare proprio dalle inquadrature che più colpiscono la mia immaginazione. Tento di vedere già quell’immagine, quello scorcio come sarebbero rappresentati sulla tela. Scatto la foto per memorizzarla, per poterci poi lavorare una volta rientrato nel mio studio a Como.

Le tue opere nascono da una fotografia o, meno spesso, da un frame da video. Che relazione ha il tuo lavoro con l’immagine in quanto iconografia? Te lo chiedo perché a partire dal postmodernismo, la pittura ha avuto a che fare con l’eclettismo, lo stile, la superficie, mentre nel tuo lavoro c’è un’attenzione sostanziale verso le immagini come forme specifiche.
La fotografia è un passo fondamentale nella mia ricerca. Viaggio sempre con la macchina fotografica e vivo ogni foto in funzione dell’opera che eventualmente potrebbe nascere. Scegliere la giusta immagine significa essere già ad un ottimo punto per la realizzazione del quadro che nascerà. Più passano gli anni, più cresce l’esperienza, più le foto sono assolutamente mirate al loro scopo finale. Studiando le architetture, le linee, gli spazi, ma soprattutto le luci e le ombre sono fondamentali ai fini della realizzazione dell’opera dipinta su tela. Per questo cerco di scegliere anche momenti della giornata in cui le ombre sono maggiormente accentuate, le forme dell’edificio sono ridisegnate dal sole e dalla luce.

Ogni ciclo di opere dedicato ai luoghi è sempre anticipato da un “viaggio preparatorio” che ti consente di avere il materiale per realizzare poi in studio, le tele. Qual è il tuo rapporto con la fotografia? Cosa deve avere un edificio, un panorama, una chiesa per interessarti?
Deve catturare la mia attenzione. Non c’è un canone particolare che ricorre tutte le volte. Può essere un’architettura antichissima o modernissima, in metallo o pietra... Il mio occhio e la mia macchina fotografica devono vedere il quadro che nascerà. In quel momento scatto e inizio a studiare i progetti dei quadri dalle immagini realizzate.

E in particolare per Cina.txt, quali luoghi hai scelto? Ho notato quelli più comuni, come la Grande muraglia, ma anche scorci inaspettati…
In Cina ho proprio voluto rappresentare i contrasti e le contraddizioni di un paese così vasto... Ho girato le campagne e le grandi città, dalle risaie e case dei contadini di età antichissima fino allo stadio olimpico di Pechino di Herzog & de Meuron.

Quante fotografie scatti per un singolo soggetto? Come ti accorgi che l’immagine è quella “giusta” per poi esser portata su tela?
Scatto sempre meno immagini e sempre più mirate, anche se una decina di foto per ogni edificio mi servono sempre, magari riprese in diversi momenti della giornata per studiare l’impatto differente della luce sulle forme.

Quali sono i passaggi nel tuo percorso di ricerca?
I primo passo è l’identificazione del canale su cui si concentreranno poi lo studio e l’approfondimento. Poi mi reco di persona a scattare delle foto cercando di rendere il più possibile l’idea di quello che voglio rappresentare. In seguito c’è la parte dello studio e della scelta dell’immagine giusta attraverso il computer. Riduco la foto in bianco e nero esaltando i contrasti e cercando di ridurla all’essenza di pixel bianchi e neri. A questo punto inizia il lavoro pittorico, prima con un disegno sulla tela, tenendo come riferimento l’immagine originale, poi con la stesura di una serie di colori, per poi intervenire ancora con il bianco e nero riducendo il più possibile ogni parte che non ritengo necessaria ai fini della rappresentazione del soggetto. Diciamo che è un lavoro sulla sintesi dell’immagine... ma è una sintesi che dà, e non che toglie. Accentua infatti, in questo caso sulle architetture, l’effetto della luce e delle ombre sulla struttura degli edifici, spesso rivelando dettagli che a occhio nudo non si possono cogliere.

Il tuo rapporto col colore?
Il colore è fondamentale nei miei quadri, dona profondità e materia alla tela, porta a distinguere l’architettura dallo sfondo, dai cieli... anche se il più delle volte, dopo averlo steso tendo a ricoprirlo per riportare il tutto a una immagine un po’ più distaccata dalla realtà. In pratica il colore si percepisce sempre, anche in una tela totalmente in bianco e nero.

Hai scelto dei formati molto grandi. È una scelta coraggiosa: ovviamente le tele ampie sono più costose ed è più difficile trovar loro una collocazione...
Certo, e ne sono consapevole, ma credo renda molto più l’idea, rappresenti meglio i soggetti e riesco a lavorare più nel dettaglio con misure molto grandi. Anche l’impatto in un’esposizione o in una casa è maggiore.

Qualche parola sul trittico con lo skyline di Shanghai…
È una delle immagini che mi ha colpito maggiormente in tutto il viaggio attraverso la Cina e ho passato parecchie ore a osservarlo. Dal primo pomeriggio fino alla sera inoltrata scattando foto alle diverse ore del giorno e della notte. Come ogni metropoli è affascinante l’insieme di grandi edifici, le migliaia di luci, il fiume Huangpu con il traffico commerciale e turistico e il moderno distretto finanziario di Pudong… Ho voluto realizzare un grande trittico di quattro metri e mezzo per tre, proprio per cercare di rappresentare l’imponenza di quel panorama assolutamente mozzafiato, tra i più belli skyline al mondo insieme ad Hong Kong, New York e poche altre città.

Quando decidi che un dipinto è finito?
A volte mai. Magari questi dipinti li tengo per me in modo tale che quando capisco cosa può essere ritoccato abbia la possibilità di farlo, magari anche dopo un anno o più.

Hai mai distrutto quadri che non ti convincevano?
Questo non è mai successo, ma credo proprio per il fatto che una immagine da cui poi realizzo i quadri è studiata nei minimi dettagli ancora prima della realizzazione dell’opera pittorica. Mi è capitato di coprire cieli colorati che non mi convincevano o addirittura di rifare più volte delle parti di tele fino a quando non mi davano la certezza di rappresentare al 100% quello che era nella mia mente ancora prima di iniziare.
Quali maestri ti hanno suggestionato di più?
Indubbiamente Andy Warhol. La pop art rimane il mio punto di riferimento. Credo si colga anche nei miei lavori più recenti.