Bormio

FABRIZIO MUSA BORMIO - NEW YORK

DUE LUOGHI, UN TEMPO
Le opere di Fabrizio Musa pubblicate in questo libro ritraggono due luoghi, ma si
riferiscono a un solo, medesimo tempo.
Bormio e New York, com’é noto, non si assomigliano. Puó darsi peró che nel XIV secolo,
quando ben trentadue torri svettavano fra le sue mura, la cittá valtellinese apparisse
agli occhi dell’uomo medioevale dotata di uno skyline analogo a quello della metropoli
statunitense. E d’altra parte il carattere neogotico di qualche grattacielo newyorchese
non sembra richiamarsi alla linearitá aguzza delle chiese di montagna?
Probabilmente di inattese e ardite similitudini se ne potrebbero individuare delle altre,
ma risulterebbe un esercizio inutile e forse persino fuorviante. Il binomio Bormio-New
York va letto in chiave non architettonica, ma cronologica, e per la precisione alla luce
di una certa idea del rapporto fra tempo e immagine.
Nei dipinti di Musa i panorami newyorchesi compaiono da almeno un decennio: cioé da
quando il pittore lariano ha iniziato a trascorrere periodi sempre piú lunghi nella cittá
affacciata sull’Atlantico, dove ha intrecciato rapporti con gallerie e collezionisti privati,
e nella quale ha seguito la realizzazione degli interni di un celebre ristorante – il Per
Lei di Manhattan – che ospita in permanenza le sue opere. Bormio invece é una meta
abituale di vacanze fin dall’adolescenza, la classica localitá non troppo distante da casa
che, per l’artista, possiede i tratti di un paesaggio inconfondibile, familiare e a tratti
persino intimo.
Eppure é come se, per osservare questi luoghi, Musa sentisse il bisogno di posarvi uno
sguardo innanzitutto distaccato, come se avvertisse l’esigenza di una mediazione
tecnologica che in prima istanza li fa apparire uniformi. Le fotografie da cui nascono i
dipinti infatti vengono scannerizzate e sottoposte al medesimo processo di traduzione
in un linguaggio di testo – il cosiddetto “txt”, o “solo testo”, con cui si designano i file,
e che compare come un logo al fianco del titolo di molte opere dell’artista lariano – che
le sfronda, le scarnifica, le riduce a una scheletrica bicromia. Non si tratta solo di una
trasformazione iconica, ma – ripeto – anche cronologica: é come se quelle immagini,
e i luoghi a cui si riferiscono, fossero incardinate in un frangente identico, come se
venissero depurate del flusso degli eventi e immobilizzate nello stesso istante. Si tratta
del tempo omologato tipico di quel fenomeno che, di solito, chiamiamo “globalizzazione”:
un tempo unico, indifferenziato, cosí come indifferenziate tendono ormai a essere tutte
le immagini che vengono riversate sui nostri strumenti di comunicazione.
Musa accetta questo processo, peraltro inarrestabile, ma lo mette a nudo, per poi
sabotarlo dall’interno. Alla fissitá temporale fa da contrappunto la mobilitá ottica, il
fremito che appartiene a certi dettagli dei dipinti in cui la tramatura dei segni é cosí fitta
da produrre una vibrazione nell’occhio di chi li osserva. Infine il colore che, soprattutto
nelle bellissime carte dedicate agli scorci di Bormio, riveste in modo arbitrario e poetico
lo scheletro delle immagini, rimette in moto il tempo, lo fa percepire attraverso la
calcolata imprecisione e la rimarcata gestualitá della stesura.

Roberto Borghi