FABRIZIO MUSA BRUXELLES.TXT

LA ‘MUSALIZZAZIONE’ DI BRUXELLES

a cura di Carlo Ghielmetti

Noi non seguiamo mappe di tesori nascosti
e la ‘x’ non indica mai il punto dove scavare
[Indiana Jones]

C’è un galantuomo che, sigaretta in bocca e macchina fotografica in mano, vaga per le vie delle
città del mondo. Fabrizio Musa è a suo modo un modello per l’accezione contemporanea di flâneur
ovvero di colui che, nella definizione che ne diede Baudelaire a metà del XIX secolo, rappresentava
la figura di un artista che s’immergeva a tal punto nella vita delle metropoli da diventare
un ‘botanico del marciapiede’, un conoscitore analitico del tessuto urbano per capire le dinamiche
della vita che gli ruota attorno.
Viaggia molto, Fabrizio Musa. E, come un artista d’altri tempi, i suoi, sono viaggi di formazione, dai
quali torna con suggestioni, spunti, impressioni che traduce sulle sue tele. Nel suo ‘grand tour’ attorno
al globo terrestre, Musa riesce a dare al viaggio una particolare dimensione estetica che lo
porta a esaminare con attenzione e minuziosità l’aspetto architettonico dei luoghi visitati, siano essi
a New York, in Cina, a Milano o nelle città della sua terra, la Lombardia. Un occhio che Musa si è formato
guardando le costruzioni del suo illustre concittadino Giuseppe Terragni e che si è affinato nel
tempo con la frequentazione di grandi esponenti dell’architettura contemporanea, quali ad esempio
Mario Botta, il cui lavoro è stato protagonista di un’indimenticabile serie.
É stato curiosamente lo stesso Giuseppe Terragni a creare un legame tra l’artista e Bruxelles. Un
ciclo pittorico a lui dedicato è stato infatti il tema conduttore di una mostra che si è tenuta nel 2004
nella prestigiosa sede del Parlamento europeo. É da allora che si è instaurata la liaison, mai sopita,
tra l’artista e la capitale belga; e questa esposizione non poteva che esserne la sua necessaria conseguenza.
Fin dal suo primo incontro, Musa è rimasto sedotto nel profondo dal fascino che questa
città emanava. Colpito da quell’insieme di radici antiche che si sposano con i sogni della modernità.
Segnato da quel processo che una terminologia curiosa definisce ‘Bruxellisation’, Musa ha colto il
meglio di questa città: dal Palazzo Reale all’Atomium, dalla Cattedrale all’edificio che ospita il Parlamento
Europeo, dall’Arco di Trionfo al Palazzo delle Generali.
E lo ha fatto con la tecnica che ormai lo ha reso un’icona facilmente riconoscibile della giovane arte
figurativa italiana e che affonda le proprie radici in quella cultura pop di gusto americano, di cui
Musa si è nutrito fin dai suoi primi passi sulle assi del palcoscenico dell’arte. Le sue creazioni, infatti,
giocano sul concetto della riproducibilità dell’opera d’arte, un ideale che gli viene garantito da un
passaggio di digitalizzazione delle immagini, raccolte in prima istanza dalla sua macchina fotografica.
Tuttavia, questo processo, che rappresenta una necessaria fase tecnica del suo lavoro, mette
in atto un metodo che d’ora in poi potremo chiamare di ‘Musalizzazione’, attraverso il quale, l’artista
ricava le anatomie delle architetture che cattura, senza che queste rimangano decontestualizzate
dal tessuto urbanistico in cui vivono. Il successivo passaggio sul supporto – tela o carta – altro non è
che l’espressione di una manualità ritrovata, di un fare artistico cui Musa si sente molto legato.
Questa serie di quadri ispirati a Bruxelles segnano in maniera decisa, se non definitiva, un passaggio
chiave della sua crescita artistica, rappresentata dall’ingresso del colore. Se fino a poco tempo fa,
la sua cifra stilistica ruotava attorno al fulcro del bicromatismo ‘bianconero’ – di cui, in quest’occasione,
presenta una sola coppia di opere, forse le ultime - Fabrizio Musa ha percorso una strada di
maturazione e crescita coloristica che lo ha portato a gestire con misurata attenzione la sua tavolozza.
Ora, gioca e si diverte a svelare, a coprire, a rivelare sulle sue tele i colori, a volte in maniera
furbesca, facendoli colare dall’alto senza troppe remore o timidezze, a volte in maniera più misurata,
ma con un’intensità che pare erodere lo strato cupo del nero e cercare di spingersi verso una nuova
dimensione.

INTERVISTA.TXT

di Emma Gravagnuolo

Bruxelles.txt un progetto molto specifico. La selezione dei dipinti, in mostra al CIVA (Centre International
pour la Ville, l’Architecture et le Paysage), crea un corpo coerente di lavori e un’atmosfera
particolare. Puoi dirmi qualcosa del processo che c’è dietro questa scelta?
Fin dall’inizio il viaggio è stato pensato come un approfondimento non solo di questa città, ma come
una ricerca sulla contrapposizione delle diverse architetture presenti. Ho voluto mettere a confronto
architetture come l’imponente Palazzo Reale edificato in stile Luigi XVI, con edifici Art Déco e primo
Novecento e quelli più avveniristici e moderni.
Hai selezionato molti paesaggi - architetture, spazi vuoti, luoghi quasi astratti di esterni - e solo due
tele dove é presente l’uomo. Ma in entrambi i casi questi lavori chiamano in causa il sentimento dell’assenza
e l’idea della pittura come una pratica specifica…
Come ti dicevo, per questo progetto l’architettura era al centro della mia ricerca, mentre la figura umana
restava in secondo piano. Anche se in qualche tela, come quelle che rappresentano l’Arco di Trionfo
al Parc du Cinquantenaire o il Parlamento Europeo la presenza dell’uomo nell’immagine era necessaria
proprio per dare un riferimento di paragone, per rendere la maestosità di tali edifici.
Le prospettive di alcuni edifici sono estreme, le facciate vengono riprese da scorci obliqui, altri dettagli
dal basso…
Cerco sempre di cogliere dei dettagli e delle inquadrature non “semplici”... In genere mi baso proprio
sull’istinto, sul momento in cui mi rapporto alla specifica architettura, mi lascio guidare proprio dalle
inquadrature che più colpiscono la mia immaginazione. Tento di vedere già quell’immagine, quello scorcio
come sarebbero rappresentati sulla tela. Scatto la foto per memorizzarla, per poterci poi lavorare
una volta rientrato nel mio studio a Como.
Le tue opere nascono da una fotografia o, meno spesso, da un frame video. Che relazione ha il tuo
lavoro con l’immagine in quanto iconografia? Te lo chiedo perchè a partire dal postmodernismo, la pittura
ha avuto a che fare con l’eclettismo, lo stile, la superficie, mentre nel tuo lavoro c’è un’attenzione
sostanziale verso le immagini come forme specifiche.
La fotografia è un passo fondamentale nella mia ricerca. Viaggio sempre con la macchina fotografica e
vivo ogni foto in funzione dell’opera che eventualmente potrebbe nascere. Scegliere la giusta immagine
significa essere già ad un ottimo punto per la realizzazione del quadro che nascerà. Più passano gli
anni, più cresce l’esperienza, più le foto sono assolutamente mirate al loro scopo finale. Studiando le
architetture, le linee, gli spazi, ma soprattutto le luci e le ombre sono fondamentali ai fini della realizzazione
dell’opera dipinta su tela. Per questo cerco di scegliere anche momenti della giornata in cui le
ombre sono maggiormente accentuate, le forme dell’edificio sono ridisegnate dal sole e dalla luce.
Ogni ciclo di opere dedicato ai luoghi è sempre anticipato da un “viaggio preparatorio” che ti consente
di avere il materiale per realizzare poi in studio, le tele. Qual è il tuo rapporto con la fotografia? Cosa
deve avere un edificio, un panorama, una chiesa per interessarti?
Deve catturare la mia attenzione. Non c’è un canone particolare che ricorre tutte le volte. Può essere
un’architettura antichissima o modernissima, in metallo o pietra... Il mio occhio e la mia macchina
fotografica devono vedere il quadro che nascerà. In quel momento scatto e inizio a studiare i progetti
dei quadri dalle immagini realizzate.
E in particolare per Bruxelles.txt, quali luoghi hai scelto?
Mi interessavano quelli più comuni come l’Atomium, il monumento in acciaio del parco Heysel, ma anche
scorci inaspettati che rivelano contrapposizioni di stili, oppure semplici inquadrature di palazzi magari
particolari ma non “noti”.
Quante fotografie scatti per un singolo soggetto? Come ti accorgi che l’immagine è quella “giusta” per
poi esser portata su tela?
Scatto sempre meno immagini e sempre più mirate, anche se una decina di foto per ogni edificio mi
servono per qualsiasi soggetto, magari riprese in diversi momenti della giornata per studiare l’impatto
differente della luce sulle forme.
Quali sono i passaggi nel tuo percorso di ricerca?
I primo passo è l’identificazione del canale su cui si concentreranno poi lo studio e l’approfondimento.
Poi mi reco di persona a scattare delle foto cercando di rendere il più possibile l’idea di quello che voglio
rappresentare. In seguito c’è la parte dello studio e della scelta dell’immagine giusta attraverso il
computer. Riduco la foto in bianco e nero esaltando i contrasti e cercando di ridurla all’essenza di pixel
bianchi e neri. A questo punto inizia il lavoro pittorico, prima con un disegno sulla tela, tenendo come
riferimento l’immagine originale, poi con la stesura di una serie di colori, per poi intervenire ancora con
il bianco e nero riducendo il più possibile ogni parte che non ritengo necessaria ai fini della rappresentazione
del soggetto. Diciamo che é un lavoro sulla sintesi dell’immagine... ma é una sintesi che dà, e
non che toglie. Accentua infatti, in questo caso sulle architetture, l’effetto della luce e delle ombre sulla
struttura degli edifici, spesso rivelando dettagli che a occhio nudo non si possono cogliere.
Il tuo rapporto col colore?
Il colore è fondamentale nei miei quadri, dona profondità e materia alla tela, porta a distinguere l’architettura
dallo sfondo, dai cieli... anche se il più delle volte, dopo averlo steso tendo a ricoprirlo per
riportare il tutto a una immagine un po’ più distaccata dalla realtà. In pratica il colore si percepisce
sempre, anche in una tela totalmente in bianco e nero.
Qualche parola sulla tela “Bruxelles.txt V” con il panorama della città
É una delle immagini che mi ha colpito di più e ho passato parecchio tempo ad osservarla anche in diversi
momenti della giornata. É proprio qui che si possono notare i differenti stili presenti a Bruxelles,
grandi palazzi di vetro e acciaio contrapposti a piccole case di tre o quattro piani in stile Art Déco fino
a grattacieli che si stagliano all’orizzonte o all’Atomium che pone la sua firma sullo skyline rendendolo
inconfondibile da altre metropoli.