FABRIZIO MUSA TERRAGNI.TXT

di Carlo Ghielmetti

"Considera ora, dissi, quale potrebbe essere la loro liberazione e la loro guarigione dalle catene e dall'insensatezza, e se non accadrebbero loro queste cose: qualora uno fosse sciolto e subito costretto ad alzarsi e levare lo sguardo in su verso la luce, e per il bagliore fosse incapace di riconoscere quelle cose delle quali prima vedeva le ombre, cosa credi che risponderebbe se uno gli dicesse che prima vedeva solo vane ombre e che ora, invece, essendo piu' vicino alla realta' e rivolto a cose che hanno piu' essere, vede piu' rettamente? (...)"

Platone, Repubblica, VII.

Uscire dalla caverna come estremo slancio dialettico e figurativo. Uscire dalla caverna come riappropriazione della propria memoria storica e sociale.
Ricorrere a uno dei miti, o al mito in assoluto piu' fondante e risolutivo della filosofia platonica, quello della 'caverna' appunto, non deve spaventare o risultare esagerato, specie se riferito al lavoro di un pittore, neppure se questo viene applicato a quello di un artista giovane d'eta' e di carriera come Fabrizio Musa. No, perche' se e' vero che Platone rappresenta uno dei padri fondatori della cultura e della civilta' occidentale, allora gioco forza ognuno di noi si e' nutrito dei suoi insegnamenti, a tal punto che misconoscerli e' quasi impossibile, se non irragionevole.
Nelle pagine della Repubblica, il filosofo greco propugnava una liberazione dalla schiavitu' delle immagini, dai simulacri della verita', dalle ombre delle idee, attraverso il tipico metodo dialettico che lui stesso ha tramandato.
La nostra societa', d'altronde, ci ha abituati a nutrirci di immagini. Tutto e' immagine; la realta' e' immagine; la verita' e' immagine; la dignita' e' immagine; l'amore e' immagine. E mai come in questi tempi, e' forte la necessita' dell'andare oltre, del togliere quegli 'idola' di baconiana memoria e riappropriarci dell'essenza delle cose, superando la loro fenomenicita'. e' cosi' che idealmente, Fabrizio Musa opera una sorta di dialettica personale, seppur figurativa, mediata dall'uso della tecnologia, e degli strumenti che il tempo in cui vive gli ha messo a disposizione. Partendo, infatti, dalla totalita' dell'oggetto da raffigurare, Fabrizio Musa riduce alla sua essenza l'oggetto stesso. Se ne appropria, togliendone il dato sensibile, ovvero il colore, le ombre, il movimento, quand'anche i suoni, nell'istante stesso in cui l'artista li fissa, fotografandoli, sulla pellicola, per poi riprodurli sulla tela. Giunge cosi', Fabrizio Musa, all'intelligibilita' del dato sensibile, a una visione piu' elevata, quasi all'Idea stessa dell'oggetto rappresentato, che in questo caso sono le architetture di Giuseppe Terragni, con quella secchezza che solo il bianco e il nero possono dare a questa ricerca di essenzialita'. Giungere all'essenzialita' filosofica del messaggio razionalista di Terragni, a 100 anni dalla sua nascita, e' il compito al quale Fabrizio Musa non si sottrae. Il suo e' uno sguardo da artista, da pittore che non cede a filtri interpretativi di carattere storico. La storia e' quello che queste costruzioni hanno rappresentato e ancora rappresentano per la sua vita e per quella della sua citta', dove buona parte dei monumenti sono ubicati. In questa personale e originale visione delle architetture di Terragni, Musa mette in campo quindi la dimensione della memoria, della sua memoria personale. Ovvero quella di un giovane uomo comense che vive da sempre in simbiosi con le architetture del suo illustre concittadino, sia pure come semplice fruitore distratto. Non una memoria come conservazione e ritenzione di figurazioni avute nel passato recente della propria vita, quanto un'anamnesi di rappresentazioni che da sempre risiedono in lui, come qualcosa di atavicamente e geneticamente presenti.
Fabrizio Musa non cade nell'errore di decontestualizzare l'oggetto architettonico. Terragni e le sue costruzioni non sono ritratte come nature morte, ma vivono all'interno del tessuto connettivo sociale. E allora, ecco le auto, i cartelli stradali, i fili dell'elettricita' a fare da sfondo alle architetture e contemporaneamente a testimoniare l'inserimento dei palazzi all'interno della citta' e non di uno spazio asettico, vuoto, inconsistente, col rischio di snaturare la funzione architettonica della costruzione che risulta per sua natura fondamentalmente primaria.

LEGGERE TERRAGNI MA CON LICENZA POETICA

di Roberto Borghi

Anche l'architettura, come ogni altra arte, e' un linguaggio.

Dopo alcuni decenni di capillare diffusione della semiotica tra i critici di tutte le discipline espressive, questa affermazione non trova nessuno pronto a smentirla. Pochi tuttavia traggono la conseguenza piu' implicita e piu' immediata: considerare ogni edificio un testo, cioe' qualcosa che si presta a essere letto come un oggetto di natura verbale.

Ci sono architetti che nelle loro opere manifestano in modo particolarmente evidente una sorta di struttura alfabetica, un codice linguistico estremamente serrato. Giuseppe Terragni e' tra questi. Sui suoi edifici Peter Eisenmann, uno tra i piu' rilevanti architetti decostruttivisti, ha scritto raffinate analisi alla luce delle ricerche semantiche di Noam Chomsky. Ma e' sufficiente osservare la Casa del Fascio, la fitta schiera di pieni e di vuoti che si rincorrono sulle sue facciate, che secondo Diane Ghirardo fa pensare a "un discorso improntato da un'antichissima retorica"; oppure guardare attentamente il Novocomum, il suo alternarsi di stilemi costruttivisti e di classiche simmetrie, che secondo Paolo Portoghesi allude a "un dialogo tra avanguardie e tradizione", per cogliere il sottofondo intimamente linguistico dei suoi edifici.

Stando cosi' le cose Fabrizio Musa ha scelto di affrontare l'opera di Terragni, di cui quest'anno ricorre il centenario della nascita, come se fosse "qualcosa da leggere". Come avviene spesso nella realizzazione dei suoi dipinti, Musa e' partito da un'immagine fotografica, con la quale ha indicato il punto di vista da cui effettuare questa lettura. In quasi tutti gli scatti del pittore comasco il taglio e' obliquo e la prospettiva eccentrica: come se gli edifici di Terragni svelassero il loro significato solo a uno sguardo indiretto, a una visione laterale e anomala. Le fotografie sono poi state sottoposte a quel processo di scannerizzazione che caratterizza tutte le opere dell'artista: grazie a questo filtro visivo le immagini, prima di essere trasferite sulla tela, sono state tradotte con un "programma di testo", un linguaggio computeristico che ha evidenziato il fitto alfabeto di caratteri architettonici di cui sono composti gli edifici.

Una volta trascritta sulla superficie pittorica, la Casa del Fascio ci appare come la somma di diaframmi sottili che, proprio come i segni di punteggiatura all'interno di un testo, scandiscono gli spazi significativi, suddividono i luoghi adibiti alle diverse funzioni e permettono l'osmosi tra l'interno e l'esterno del discorso architettonico. Il Novocomum e l'Asilo Sant'Elia, non appena tradotti in questo peculiare codice pittorico, si manifestano come puri assemblaggi di volumi modulari, come intarsi di effetti di luce talvolta contrastanti, come combinazioni di elementi linguistici insolitamente eloquenti.

Fabrizio Musa realizza prevalentemente i suoi dipinti in bianco e nero. La bicromia e' funzionale alla sottolineatura degli aspetti plastici degli oggetti raffigurati, ma consente anche di scorgere ulteriormente la trama dell'immagine, la fitta segmentazione che caratterizza una pittura che al pennello affianca lo scanner. Musa non si accontenta di tradurre filologicamente gli edifici sulla tela: la sua rilettura dell'opera di Terragni contempla necessariamente qualche licenza poetica. Per questa ragione nei suoi dipinti alcuni spigoli del Novocomum si accendono di bagliori inediti, o il cielo che sovrasta la Casa del Fascio talvolta lascia trasparire un blu livido. Il rigore del linguaggio di Terragni si mescola all'arbitrio dei codici cromatici proposti da Musa, in modo tale da attuare una fedele rilettura delle opere del grande architetto con una scrittura pittorica sottilmente allusiva.

FABRIZIO MUSA TERRAGNI.TXT

di Sergio Gaddi
Assessore alla cultura del Comune di Como

Il 18 aprile di cento anni fa nasceva Giuseppe Terragni, architetto geniale e padre del razionalismo italiano.

Oggi la citta' di Como ricorda quella data con un anno di celebrazioni che hanno gia' interessato e coinvolto il mondo della cultura internazionale.

Tra gli innumerevoli eventi intorno ai quali si articoleranno le celebrazioni emerge la forte volonta' dell'assessorato alla cultura della citta' di leggere il messaggio di Terragni attraverso l'esperienza di un artista comasco giovane e deciso, dal tratto vero e moderno.

Fabrizio Musa, che ha gia' affrontato un significativo percorso di sperimentazione pittorica, interpreta perfettamente questo progetto, in quanto nella sua opera si legge il carattere di una personalita' creatrice che ha rielaborato la progettazione e la costruzione dell'immagine sulla tela attraverso una tensione moderna volta a trasformare le crisi e le sfide del mondo e della societa' attraverso la rappresentazione delle architetture del maestro del razionalismo, ancora logicamente pregnanti rispetto al tempo in cui si collocano.

Musa riesce a cogliere con la sua opera la duplicita' dell'architettura: da un lato l'essenza di fatto principalmente fisico, dall'altro l'espressione di un'archetipicita' che rende manifeste le energie nascoste nelle geometrie pure, capaci di esprimere mondi, microcosmi e ambienti complessi.

Il risultato delle interpretazioni dell'artista comasco trasmette la forza tesa e viva di questa dinamica complessa e segna un interessante percorso di ricerca e innovazione.

Il Comune di Como, che guarda con attenzione e interesse l'universo dell'arte contemporanea giovane, sostiene con convinzione il progetto di questa mostra di grande qualita'.

MUSA - TERRAGNI

On. Cristiana Muscardini
Presidente della delegazione di Alleanza Nazionale al Parlamento Europeo

Nel centenario della sua nascita, il Parlamento Europeo desidera ricordare la figura di Giuseppe Terragni, uno dei piu' importanti architetti del XX secolo, attraverso le opere pittoriche di un suo giovane concittadino, Fabrizio Musa. Le architetture di Terragni hanno comunicato il valore emblematico della cultura italiana in Europa e nel mondo. A distanza di mezzo secolo, Fabrizio Musa interpreta, con i mezzi e le tecnolgie che la modernita' gli ha messo a disposizione, gli edifici dell'architetto comasco, attualizzandone il messaggio. Questa mostra testimonia vieppiu' quanto la figura di Giuseppe Terragni sia ancora presente nelle giovani generazioni. La via architettonica di Terragni, pur guardando all'Europa, ha saputo rimanere squisitamente fedele alle tradizioni culturali italiane, che dall'antichita' romana sono giunte fino ai nostri giorni. e' questa la testimonianza di un passato sempre attuale nonche' fonte d'ispirazione per la cultura del XXI secolo. e' un grande piacere, quindi, sorreggere e promuovere questa iniziativa che, oltre a ricordare la figura di una grande esponente del Novecento italiano, rende conto della ricchezza e della varieta' del patrimonio culturale italiano contemporaneo.